Industrie, UMBRIA

Calo degli zuccheri

Calo degli zuccheri

TOM WAITS: “Shiver me timbers” (1974)

So come on and swallow me, don’t follow me./I travel alone. – E tu dimenticami, non seguirmi./Io viaggio da solo.

Lo zuccherificio di Foligno fu attivo dal 1900 al 1980 e arrivò ad essere uno dei più importanti del Centro Italia per quantità di barbabietole lavorate. Nel 1988 iniziò la demolizione della maggior parte della porzione industriale, interrotta poco dopo per essere ripresa nel 2010; oggi restano in piedi soltanto una parte del corpo centrale, una fornace, una ciminiera e, più distaccata, la palazzina amministrativa, dalle dignitose forme tardo liberty, inaccessibile perché murata. Il sito è facilmente accessibile, ma solo a fatica si possono recuperare tracce dell’attività originaria, essendo stato ormai completato lo sventramento delle porzioni industriali e la rimozione dei macchinari. Solo in un magazzino è accatastata una pila di sacchi di zucchero, tributo postumo all’attività. Nei miei ricordi di bambino rammento quando mio padre si recava a Foligno con la fidata 500 per la stagione bieticola. Forse è per anche per questo che sono attratto dagli zuccherifici in disarmo e certo fa male pensare che l’Italia nel dopoguerra era arrivata a produrre oltre il 17 per cento del fabbisogno europeo, avvalendosi dei 62 zuccherifici presenti sul territorio nazionale. Poi sono comparse le quote stabilite dall’Europa e, anche per l’inanità pluridecennale dei nostri governi, nel 2006 si è arrivati allo smantellamento dei nostri zuccherifici, tanto che ora sul territorio nazionale sono attivi appena due stabilimenti, che peraltro hanno già preannunciato la chiusura. L’Italia, in cambio delle dismissioni imposte a seguito dell’accoglimento delle quote saccarifere imposte dall’U.E., ha incassato da Bruxelles un assegno di 700 milioni di euro per avviare la conversione degli impianti in centrali elettriche a biomasse. Ne sarà valsa la pena? Oggi il mercato dello zucchero è gestito dai colossi francesi e tedeschi, che si sono accaparrati le produzioni delle periferie continentali (in ordine di massa prodotta: Italia, Spagna, Croazia e Polonia). A volte, buttando una sguardo sulla bustina che utilizziamo per zuccherare il caffè, ancora capita di incrociare i gloriosi marchi nazionali di un tempo, ma il destino è segnato. L’amara constatazione è che questa crisi della filiera saccarifera non è dovuta al dumping degli Stati poveri, che sovente utilizzano questa politica industriale, ma a  quelli ricchi.  Basti pensare che l’Europa impose dazi da 90 euro a tonnellata per i produttori del Sud del mondo, lasciando che Germania e Francia potessero prendere il controllo del mercato europeo. Peccato che per le quote latte e per gli agrumi si siano applicate senza indugi le leggi del libero mercato: colpiti e affondati  dal fuoco amico. Tanti anni fa Julie Andrews nel film Mary Poppins cantava: “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù!”. Qui però, più che una pillola, ci hanno fatto inghiottire un rospo.

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