RY COODER: “Across the borderline” (1982)
When you reach the broken promised land/and every dream slips through your hands,/then you’ll know that it’s too late to change your mind,/‘cause you’ve paid the price to come so far/just to wind up where you are,/and you’re still just across the borderline. – Quando raggiungerai la terra delle mancate promesse/e ogni sogno ti sfuggirà di mano,/allora saprai che è troppo tardi per cambiare idea,/perché hai pagato il prezzo per arrivare così lontano/solo per finire dove sei,/e sei ancora lungo il confine.
Non so quante volte sono passato in auto davanti a questa villa, senza neanche notare il cancello d’ingresso con l’effigie di un cane feroce presente all’interno. La Natura ama nascondersi, ammoniva Eraclito in uno dei suoi “Frammenti” e io mi ero rassegnato a quanto indicato dal filosofo greco, rinunciando alla caccia della villa, fino a quando un’anima pietosa mi ha svelato l’arcano, e con i ringraziamenti mi fermo qui per non infastidire la sua privacy. Come riportato dalla cronaca di un giornale locale, questa villa nel 1990 fu teatro di una rapina di 400 milioni di lire ai danni della facoltosa famiglia di gioiellieri che l’abitava, il cui capofamiglia sembra avesse avuto pochi anni prima dei problemi con la giustizia per via di un traffico di banconote false e detenzione illegale di arma da fuoco. Non so dire che esito abbiano avuto queste vicende e comunque i disordinati carteggi ritrovati nell’abitazione non mi hanno aiutato a risolvere la questione. Alla villa si accede facilmente per un varco visibilissimo che immette nel piccolo e frondoso parco che la circonda; l’accesso all’interno dell’edificio, se possibile, è ancora più semplice, cosa che ha reso l’edificio assai frequentato e purtroppo non solo da chi è dedito unicamente all’urbex. La villa ha una sua sobria eleganza col frontale rettangolare, di non grosso volume, bianco al piano terra e di un delicato giallo al piano superiore. L’effetto è gradevole, a patto di non fare caso alle fastidiose pertinenze laterali e retrostanti che guastano l’armonia della costruzione principale. Varcato il portone principale, con il lucchetto divelto appoggiato su una delle sue maniglie, ciò che si nota è il disordine presente nel breve corridoio di accesso, che si ripete in ogni stanza della dimora. Infiniti sono gli oggetti lasciati alla rinfusa sia a terra che sul mobilio accatastato: quadri talora di non disprezzabile fattura, un 33 giri di Luigi Tenco, libri d’arte a iosa, il tutto corrotto dall’umidità e dalle muffe. Non c’è dubbio sul fatto che il padrone di casa fosse un gioielliere e commerciasse in libri e oggetti d’arte; al riguardo, fanno fede le due casseforti, una delle quali particolarmente voluminosa, che occupano le stanze al piano terra. Quello, però, che come sempre ha attirato il mio interesse sono le stanze di uso comune, che più di tutte sono capaci, pur nella devastazione operata dal tempo e soprattutto dai vandali, di mostrare le abitudini di chi abitava l’edificio. Ho trovato particolarmente interessante il salotto di ricevimento con l’immancabile camino e il contorno dei divani e poltrone, che un tempo dovevano fare bella mostra di sé e che ora, logorati dall’umidità e dal sudiciume nel buio della stanza al primo piano, assomigliano a cadaveri mummificati. Qua e là, spesso buttati sul pavimento, si trovano documenti e carteggi vari che aiutano a decifrare pezzi di vita quotidiana dei singoli componenti il nucleo familiare, che però, per mia regola, mi astengo dal proporre al fine di salvaguardare la privacy dei singoli soggetti, almeno uno dei quali sicuramente in vita. Le stanze superiori erano quelle destinate al riposo, salvo quella centrale probabilmente adibita a sala da pranzo e di svago. Qui si trovano varie coppe e trofei di karate, sicuramente riferibili alla figlia, carte da gioco sparse sul tavolo e una cucina in cui fanno mostra diverse suppellettili di uso comune che rimandano al periodo dell’abbandono, inequivocabilmente identificato dal calendario appeso che non lascia dubbi sul fatto che il terremoto del 2016 ne sia stato la causa scatenante. La fuga improvvisa dalla casa l’ha lasciata in una condizione di strano abbandono, come se non si aspettasse altro; in effetti, le vicende giudiziarie che hanno coinvolto gli adulti nel nucleo familiare possono avere influito sulla singolarità di questo distacco, ancor più marcato dall’inconsueto lascito di una Renault Megane in apparente buono stato, che ne sta avvolta dalla vegetazione spontanea nel piccolo parco antistante la villa. Come spesso in casi del genere, non sono mancate le voci, spesso pettegolezzi, che hanno riguardato la persona del gioielliere che, si dice, si sarebbe rifugiato all’estero per sfuggire creditori non meglio precisati. Per quanto mi riguarda, quello che credo di aver appurato con ragionevole certezza consiste nel decesso dei due adulti, probabilmente uniti da un vincolo di convivenza, e dall’esistenza in vita della figlia, frutto di una precedente relazione materna. Uscendo dalla stanza di questa ragazza, mi sono imbattuto in una cartolina del 2006 inviatale da un’amica, i cui nomi e riferimenti ho doverosamente oscurato, che dà il segno di una quotidianità serena con i saluti a Nuvola, probabilmente il cane feroce che veniva annunciato al cancello d’ingresso. Con il mio fedele compagno di avventure, mi lascio la villa alle spalle e rifletto su quanto tramandato da molte civiltà del passato circa la considerazione del giallo come un colore maledetto, forse perché parente povero dell’oro.