THE CURE: “Faith” (1981)
I went away alone/With nothing left/but faith. – Me ne andai da solo/con nient’altro rimastomi/tranne la fede.
Come è d’uso fra persone civili, prima di avviarmi nella descrizione di questa esplorazione, devo ringraziare S.S. – uso le iniziali per motivi di privacy – fotografo ed urbexer conosciuto e apprezzato in rete, che mi ha gentilmente fornito le coordinate del luogo, cui mi ero solo avvicinato dopo estenuanti ricerche, mancandolo per meno di un chilometro. Lo ringrazio pubblicamente, dopo averlo fatto in privato, perché trovare una persona ragionevole che dà informazioni dopo aver verificato la buona fede di chi le richiede non è prassi usuale in un ambiente in cui la prudenza, sempre indispensabile, si accosta spesso a un malinteso senso di primogenitura sui luoghi abbandonati, impedendo ogni possibile relazione. Ho indicato l’edificio che presento come appartenente alla categoria del sacro, anche se inserito in un minuscolo borgo all’interno di una frazione che, per quanto anch’esso esplorato, non mi ha dato spunti meritevoli di essere annotati e dunque mi limito al resoconto fotografico della chiesetta oggetto del mio interesse, salvo alcuni scatti fuori tema dedicati ad un carro agricolo del 1959, un vero e proprio reperto che era abbandonato proprio all’ingresso dell’abitato. La chiesa visitata mostra purtroppo i segni del tempo e del passaggio di gente che non ha mostrato alcuna attenzione alla cura del luogo. Anzitutto, il piccolo portale d’ingresso è spalancato e probabilmente forzato con l’inevitabile corollario degli escrementi di animali che hanno lordato pavimento, panche e i piani superiori dell’edificio, i quali recano evidenti tracce di bivacchi di fortuna. Al di là di questa spiacevole constatazione, ho dovuto pure registrare, mea maxima culpa (giusto per rimanere in ambiente ecclesiastico), l’incredibile dimenticanza della piastra a sgancio rapido che collega la mia reflex al cavalletto, cosa mai successa in tanti anni di urbex. Purtroppo l’età avanza e non perdona, anche se ho potuto verificare un insospettato autocontrollo, avendo evitato ogni esclamazione relativa all’inconveniente, forse per rispetto del luogo che mi ospitava, ma più probabilmente per una sorta di rassegnazione che mi fa accettare le mancate sinapsi neuronali come un fenomeno capace di sparigliarmi a tradimento le abitudini personali. Comunque sia, mi sono adattato a utilizzare il solo grandangolo più luminoso per documentare la visita, evitando l’altro obiettivo più adatto per i particolari, trattenendo il respiro al momento dello scatto con conseguenti rischi di ipossie, ma per praticare l’urbex è un prezzo che sono disposto a pagare. All’ingresso, sulla destra, campeggia una lastra marmorea a ricordare che la chiesetta (fu) progettata e decorata nel 1927 da Don Olderico Colocci (1861-1936), informazione che ritenevo preziosa per ricavare dati sulla storia dell’edificio, ma che in realtà si è rivelata un viaggio nel vuoto: nessuna notizia utile in rete. Addirittura, mancano pure informazioni sulla classificazione della chiesa, tanto che l’impressione è che sia sta solo un’iniziativa personale di don Colocci. Resta il fatto che in rete non viene mai nominata nella cittadina una chiesa della Sacra Famiglia, tale è la sua intitolazione. Comunque, al di là delle sue origini e delle motivazioni che devono aver ispirato il suo autore, i tanto decantati fregi e ornamenti floreali di cui la cappella a navata unica è ricolma non sono stati da me apprezzati adeguatamente, impegnato com’ero a schivare i numerosi lasciti intestinali dei tanti animali che debbono aver frequentato il piccolo edificio. Di sicuro l’abbondanza delle decorazioni inserite e le modeste dimensioni della cappella a navata unica, di vaga impronta neo-gotica, mi hanno dato la precisa sensazione di un kitsch, inevitabile conseguenza di un entusiasmo eccessivo rispetto alla competenza che si possiede, questo sempre nel dovuto rispetto alla persona di chi, con la massima buona volontà, ha cercato di dare un senso estetico al suo personalissimo percorso di fede. Questa chiesetta è stata variamente definita dai non molti urbexer che l’hanno visitata: chi l’ha indicata come una deliziosa bomboniera, chi come un prezioso lascito artistico, pochissimi sono rimasti incerti. Io stavolta mi sento di esprimere la mia perplessità di fronte alla pletora di stili e ornamenti mostrati, anche se mi ritengo soddisfatto di aver potuto appagare la curiosità che avevo per un luogo che ritenevo di particolare originalità e, da questo punto di vista, nessuna delusione. Finita l’esplorazione, esco all’aperto e faccio caso allo strano campanile che sembra solo affiancare di lato l’edificio, simile più sembra più a quello di un minareto che ad uno dei classici campanili presenti nelle chiese delle nostre campagne. E così, abbiamo pure una botta d’Oriente, giusto per rimarcare l’eclettismo del sito: manca solo il muezzin.