SOLO COME UN CANE
SOUNDGARDEN: “Black hole sun” (1994)
In my shoes,/a walking sleep,/and my youth/I pray to keep./Heaven send Hell away,/no one/sings like you anymore./ Black hole sun,/won’t you come/and wash away the rain? – Nei miei calzari,
una camminata da sonnambuli,/e prego di conservare/la mia giovinezza./Il Paradiso caccia via l’Inferno,/nessuno/canta come fai tu./O sole del buco nero,/giungerai/e spazzerai via la pioggia?
Raramente la fortuna guarda dalla nostra parte e ci assegna un premio inatteso, se non addirittura immeritato. Stavo osservando un percorso su googlemaps e mi veniva segnalata una chiesa apparentemente in normale servizio e senza indizi che facessero suppore il suo stato di abbandono. Incuriosito unicamente dall’insolita intitolazione, sono andato a cercarne i dettagli e, con mia grande sorpresa, sono stato introdotto al suo interno tra gli scintillanti affreschi. Si trattava nientemeno che di un luogo che stavo cercando da anni senza successo e me lo ritrovavo a pochi chilometri da dove abito provvisoriamente a causa del terremoto del 2016. Ho subito allertato il mio fedele sodale di esplorazioni, che mi ha prontamente assicurato la sua presenza per l’indomani. La chiesa si è rivelata tutto meno che attrattiva dall’esterno, un classico tardo ottocento di nessun pregio che la qualifichi, ma la sorpresa, come sapevo, era all’interno, dove c’è da perdere la testa per le incredibili decorazioni che ne segnano le pareti, l’abside e il soffitto a botte, richiamando un eclettismo d’impronta tardo gotica. L’edificio fu eretto della seconda metà dell’800 da una nota famiglia nobile locale. Nello specifico urbex, la storia si fa interessante quando E.B., figlio della contessa proprietaria, ereditò nel 1909 la villa di famiglia con annessa chiesa poco distante, che prese ad affrescare completando l’intero progetto in soli tre anni – dal 1932 al 1935 -, confermando le sue doti di umanista a tutto tondo, con una chiara inclinazione per la pittura e la poesia. Gli interni della chiesa danno spazio a temi del Vecchio come del Nuovo Testamento, fra i quali spiccano le opere della Creazione e Redenzione, le suggestive stazioni della Via Crucis riunite in cornici quadrilobate, oltre a decori d’ispirazione protocristiana presenti sulle pareti d’ingresso. La chiesa è chiusa al pubblico, abbandonata da tempo, in parte colpita dal terremoto del 2016 e minata da quella che è riconoscibile come umidità da risalita. Io e il mio compagno di esplorazioni siamo rimasti sbalorditi alla vista di tanto splendore e ci saremmo fermati per più tempo, ma a un certo punto un pastore maremmano aveva iniziato ad abbaiare a più non posso sul prato antistante la chiesa, allertando un inquilino e la caccia era bene finisse lì. Quello che ho poi appreso sulla chiesa ha del sorprendente, dato che l’intitolazione è a San Vincenzo Ferreri, dunque una non delle più comuni. Già, ma chi era costui? Nato in Spagna nel 1350 e morto in Francia nel 1419, il nostro divenne ben presto un frate domenicano, notoriamente un ordine particolarmente agguerrito sui temi della predicazione, che lui spingeva a contenuti estremi sostenendoli con richiami alle profezie bibliche. Dotato di un forte carisma personale (per chi segue l’astrologia, era un ariete centrale e dunque la cosa non deve sorprendere), Vincenzo Ferreri si immedesimava a tal punto nel suo ruolo da autodefinirsi l’Angelo dell’Apocalisse. Condusse sempre vita austera e attraversò gran parte dell’Europa a piedi, compiendo decine di miracoli al giorno tra i più disparati, tanto che «era un miracolo quando non faceva miracoli», come sostenevano i suoi seguaci e i biografi, che ne furono soggiogati a tal punto da tramandarne le gesta descrivendolo come un dominatore della natura, dato che, secondo quanto riferito, guariva i malati, liberava gli indemoniati, resuscitava i morti, convertiva peccatori, eretici e non cristiani e, per sovrammercato, proteggeva pure dai terremoti. Nelle predicazioni Ferreri non esitava ad usare toni estremi ed era a pieno titolo sulla linea dei frati con l’acceleratore fisso sul castigo finale. Non a caso, precede di pochi decenni la predicazione di Savonarola, anch’egli, guarda caso, domenicano. Il rimando per me è stato automatico a una scena del film Non ci resta che piangere, quando un frate catastrofista rammenta imperiosamente per più volte al povero Massimo Troisi il monito «Ricordati che devi morire!». Il buon Troisi assicurò all’ostinato frate che si sarebbe appuntato l’ammonimento, ma io, che in questo blog mi sono autoinvestito per la difesa della sponda rock, sono tenuto a ribattere, pur consapevole che anche un animo eletto come il mio è destinato a scomparire dalla faccia della terra. Prendo, quindi, in prestito le parole di Chris Cornell – nome d’arte, perché quello originale era davvero improponibile – ovvero del frontman dei Soundgarden, potentissimo gruppo grunge della prima ora, voce tra le più preziose e meno reclamizzate dal mainstream, capace di un’estensione vocale che sfiorava le quattro ottave, giocata indifferentemente sui toni baritonali come su quelli melodici più dolci, sempre con potenza e grazia, come se il canto fosse uno strumento che potesse usare a piacere. Purtroppo Chris si è ricordato di morire, al punto che lo ha fatto volontariamente una notte di maggio del 2017, mettendo fine ad una vita vissuta a fondo, pur con l’ansia dei tanti diavoli che aveva custodito (droga, alcol, depressione). L’incredibile delicatezza personale – così lo descrivono quanti lo hanno conosciuto o frequentato – è raccolta in queste sue parole, con cui tenta di spiegare quelle dell’esergo che ho scelto per introdurre la scheda: «Quello che è interessante per me è la combinazione di un buco nero e di un sole. Un buco nero è un miliardo di volte più grande di un sole, è un vuoto, un gigantesco cerchio di nulla, e poi c’è il sole, il donatore di tutta la vita: era questa combinazione di luce e oscurità, questo senso di speranza e malumore di fondo». Eccesso per eccesso, mi tengo le parole potenti e disperate di Chris e, per i poteri conferitimi dalla religione rock, lo assolvo senz’altro da tutti i peccati, senza bisogno di ulteriori penitenze: ne ha già scontate abbastanza in vita.