THE CURE: “All I ever am” (2024)
I think too much of all to come,/of how it will be after I give up./My weary dance with age/and resignation moves me slow/toward a dark and empty stage/where I can sing the world I know. – Penso troppo a tutto quello che verrà,/a come sarà dopo che mi sarò arreso./La mia danza stanca con l’età/e la rassegnazione mi muove lentamente/verso un palcoscenico buio e vuoto/dove posso cantare il mondo che conosco.
La chiesa, o meglio il rudere che resiste all’incuria degli uomini e allo scorrere del tempo, si trova su un culmine dello sterrato che percorre la frazione Pettovallone di una nota cittadina delle Marche. Scopre lungo l’ampia valle, ora quasi interamente spopolata e frequentata unicamente per le esigenze delle coltivazioni ancora presenti, senza però che vi siano più i tanti casolari agricoli di una volta. Questo spiega l’abbandono del sito, che è andato di pari passo con la perdita della funzione ecclesiastica, probabilmente dovuta al rapido calo degli abitanti del luogo. La chiesa fu fondata come monastero di san Silvestro, ma a questa dedica ne affiancò subito un’altra, quella a san Biagio, culto all’epoca molto sentito in zona. Il sisma del 2016 ha solo accelerato la fine dell’edificio, tant’è che le raccomandazioni dei tecnici incaricati di redigere la perizia del danno non hanno avuto seguito e la raccomandazione di puntellare la facciata sono rimaste lettera morta. A dispetto di questa inanità, probabilmente giustificata dalla scarsità di fondi, l’ente religioso che ha la proprietà del bene non ha mosso ciglio, mentre la chiesa, intesa come edificio, sembra aver reagito a modo suo, sostenendo un lato intero e una parte considerevole dell’abside con il soccorso di una frondosa acacia, il cui abbraccio alla lunga sarà mortale ma che per l’immediato ha assicurato la sopravvivenza di muri essenziali. L’interno era in rovina da tempo, ma l’immagine che rimane è tuttora quella di una costruzione di una certa importanza e solennità, per dimensioni e per concezione architettonica. Questa chiesa mi ha dato l’impressione di un luogo ancora capace di spiritualità, che sa dare a chiunque abbia l’idea di visitarla, al di là di ogni considerazione sulla presenza o meno di una qualsivoglia fede personale. La giornata improvvisamente assolata, dopo una notte di pioggia, l’incantata solitudine del luogo e la forza che emanavano quelle mura – oggi, con un termine che trovo odioso, si potrebbe dire resilienza – rafforzavano l’idea che lì ci fosse qualcosa d’importante che non merita di scomparire. All’interno è rimasto molto poco: qualche nicchia vuota, un altare semisommerso dalla vegetazione e calcinacci del tetto sfondato a far da incerto tappeto per chi vi si avventuri dentro. Eppure, poche altre volte ho avuto la netta sensazione di un luogo di pace, anche in presenza di situazioni oggettivamente più sfarzose o meno compromesse. Le bellissime parole di Robert Smith, che ho messo in esergo, sono un tributo a questo insolito esempio di resistenza all’oblio e all’indifferenza di un mondo che nasconde anche le parole per nominare i delitti che commette.