SEX PISTOLS: “God save the Queen” (1977)
There’s no future/in England’s dreaming./Don’t be told what you want,/don’t be told what you need./There’s no future, no future,/no future for you. – Non c’è futuro/nel sogno dell’Inghilterra./Non farti dire ciò che vuoi,/non farti dire ciò di cui hai bisogno./Qui non c’è futuro, nessuno futuro,/nessun futuro per te.
Una piccola chiesa rurale a navata unica, non più di gestione curiale, dal portone sfondato e con chiari segni di devastazione all’interno, non è cosa insolita per chi pratichi l’urbex; però, cosa ci fa nel fermano un luogo del genere intitolato ad un santo inglese ordinato nel 1173? Messa così sembra la domanda delle cento pistole, eppure una spiegazione c’è; basta tornare indietro di quasi mille anni e rivolgere l’attenzione all’Inghilterra di allora, retta da Enrico II, avendo sempre l’accortezza di considerare le prerogative temporali del Papato del tempo, altrimenti non ci sarebbero né santi, né amicizie eccellenti, ne assassini, né chiese locali e, assai più modestamente, nemmeno questa scheda. Tutto può essere fatto iniziare nel 1118, coincidente con l’anno di nascita di Tommaso Becket da Canterbury. Di famiglia mercantile agiata, fu avviato agli studi di diritto civile all’Università di Bologna, dove strinse una profonda amicizia con Presbitero che, ultimati gli studi, sarebbe poi diventato vescovo di Fermo per un lungo periodo (1184-1201),a cui si fa risalire l’intitolazione della chiesa fermana. Rientrato in patria, Tommaso fu subito preso al servizio di Re Enrico II, di cui divenne un fidato consigliere e confidente, fino ad essere nominato nel 1155 Cancelliere dello Scacchiere. Per sette anni Becket ricambiò fedelmente l’amicizia del re, condividendo con lui fatiche e preoccupazioni di governo, oltre che sfarzo e vita mondana. La morte dell’Arcivescovo di Canterbury Teobaldo induce Enrico II all’obiettivo di legare il clero inglese alla corona attraverso la nomina di Becket ad Arcivescovo di Canterbury, nella fiducia che con le sue brillanti doti di amministratore Tommaso potesse aiutarlo a risolvere i problemi esistenti tra casa reale e i vertici del clero inglese. La nomina (1162) provoca in Tommaso un profondo turbamento, dato che era un laico a tutti gli effetti e non aveva mai manifestato l’intenzione di prendere i voti. Alla fine, comunque, accettò la proposta, ma la nomina segnò per lui un profondo cambiamento di vita, tanto che cominciò a seguire il costume e l’austerità dei monaci del tempo e a considerare come legge suprema il Vangelo di Gesù. Fin qui, poco da dire: una redenzione come tante altre. I problemi veri vennero fuori ben presto, allorquando Tommaso si prodigò tenacemente per l’esenzione del clero dalla giurisdizione politica e per l’immunità dei beni ecclesiastici, di fatto rivendicando l’autonomia della Chiesa contro la legislazione reale codificata nelle Costituzioni di Claredon (1164), che peraltro pochi anni prima aveva avallato come Cancelliere. Abbandonato dai confratelli nell’episcopato, che preferivano tenere una linea più morbida, tiepidamente difeso dal papa, osteggiato dalla nobiltà, e soprattutto oggetto di ripetuti contrasti col re, Tommaso si vide costretto all’esilio da Enrico II e riparò presso la corte di Francia nel novembre 1164, e lì entrò in contatto con il Papa Alessandro III, minacciato dal Barbarossa. Tra i due esuli si cementa subito un forte un forte legame umano e politico che viene subito messo alla prova quando Tommaso fa rientro in patria, fidando su una momentanea riconciliazione col sovrano. Enrico II procede alla repentina nomina del figlio come re, senza chiedere il consueto parere del papa. Tommaso reagisce subito, facendo scomunicare dal suo amico papa i vescovi complici del re, così di fatto segnando la sua condanna a morte, che avverrà di lì a pochi giorni, il 29 dicembre 1170, quando fu trucidato davanti all’altare della Cattedrale di Canterbury, finito dai colpi di quattro cavalieri che infierirono selvaggiamente sul suo corpo, letteralmente maciullato a colpi di spada. Non si seppe mai se i cavalieri avessero agito su mandato del sovrano o di propria iniziativa, per compiacere il re, ma Enrico fu considerato il responsabile morale dell’efferato omicidio da tutti i sovrani delle corti europee, inclusi quelli che certi metodi li avevano praticati o fatti praticare in passato, magari curando modalità di esecuzione più discrete. Le conseguenze furono immediate e gravissime per il sovrano, che vide a rischio il trono, al punto da fargli chiedere due volte il perdono fino a farsi fustigare a Canterbury dai sacerdoti davanti ai propri sudditi. Il regno val bene qualche frustata, utile alla pace col papa, che ricompensò Tommaso con la canonizzazione di soli tre anni dopo, di fatto inaugurando la serie dei Santi subito, di cui fu solo il precursore di una non indifferente schiera mantenuta fino ai giorni nostri. San Tommaso, dunque, martire della chiesa cattolica ma solo un impostore per la chiesa anglicana, è l’uomo che ha incarnato il Cesaropapismo, la feroce lotta di potere tra la corona britannica e la Chiesa cattolica, uno scontro che ha attraversato la storia europea fino al 1600. Assassinato con il corpo brutalmente maciullato e pezzi di cervello spappolato sul sagrato, questo almeno è quanto riportato nei resoconti degli storici. Morto un papa se ne fa un altro, morto un re se ne fan tre: ne valeva la pena?