Ippocampo in vacanza

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by Chiedi alla Polvere

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Febbraio 25, 2023

SUPERTRAMP: “School “ (1974)

I can see you in the morning when you go to school./Don’t forget your books, you know you’ve gotta learn the golden rule./Teacher tells you stop your playing and get on with your work. – Posso vederti la mattina quando vai a scuola./Non dimenticare i tuoi libri, sai che devi imparare la regola./L’insegnante ti dice di smettere di giocare e di andare avanti col tuo lavoro.

Il brano che ho scelto per introdurre la scheda non significa che io sia un fan dei Supertramp: tutt’altro! L’ho sempre ritenuto un gruppo non essenziale, inizialmente intento a succhiare gli ultimi palpiti del progressive, genere che mi ha sempre stomacato, per poi astutamente adeguarsi alle sirene commerciali del mainstream di un pop elettronico da feste delle medie, spesso infarcito con orchestrazioni mielose. Non è un caso che Il gruppo abbia venduto dischi a vagonate in tutto il mondo e questo ha facilitato la sua assimilazione alla famiglia del rock, sempre generoso con tutti e poco incline alla salvaguardia di steccati identitari. È proprio per effetto di tale insana contaminazione che posso appropriarmi della descrizione dello stato d’animo dello scolaro al mattino che porta il pacco dei suoi libri sottobraccio, immagine in cui mi sono riconosciuto alla perfezione. L’altro credito di riconoscenza, stavolta sentito, è dovuto agli uffici di un’amica, grazie al cui indispensabile aiuto sono riuscito ad introdurmi nell’edificio, altrimenti inaccessibile da anni, tanto che mi accontentavo di osservarlo dall’esterno con l’acquolina dell’urbex senza speranze. Date le circostanze a dir poco particolari e fortunose del mio accesso, sarò parco nel fornire i consueti dettagli storici sulle origini e le vicende dell’edificio, né posterò foto degli esterni, proprio per salvaguardare al massimo la riservatezze dovuta in questa occasione. Comunque, non posso fare a meno di menzionare una chicca risalente al 1512, anno in cui i resti della chiesa originaria, antecedente di qualche secolo, furono inglobati nel lazzaretto, entro cui il Comune ordinò che vi dovessero abitare “i confessori degli appestati, i medici e i beccamorti”, dato che il posto era isolato ma vicino alle mura cittadine ed esposto al sole tutto il giorno. Successivamente, nell’arco di tempo che va dalla prima guerra mondiale fino alla conclusione della seconda, l’edificio fu oggetto di molteplici trasformazioni: all’inizio come ospedale militare per accogliere i feriti che tornavano dal fronte, poi occupato dai tedeschi, dagli sfollati, dalle truppe di liberazione e dagli inglesi. Finta la guerra, furono riaperte sia la Scuola Elementare sia la Scuola Media anche se con tantissime difficoltà, vista la distruzione causata dai bombardamenti, ma fu solo nel 1948 che al complesso fu assegnata la funzione di istituto scolastico, destinazione mantenuta fino ai giorni nostri, sia pure con le interruzioni causate dai terremoti occorsi in zona negli ultimi venticinque anni. Il mio ingresso carbonaro mi ha portato un immediato smarrimento, perché non ricordavo più – e sì che in questa scuola ho frequentato le medie inferiori – se la mia sezione fosse al primo piano o al secondo. Addirittura, non mi ricordavo neppure l’elegante rampa di scale in marmo cui si accedeva probabilmente alla zona riservata alle aule dei miei corsi. Non mi ricordavo assolutamente nulla; rammentavo perfettamente nomi e volti di molti insegnanti, del preside e di parecchi compagni di classe, ma, per il resto, un buco assoluto. Il mio ippocampo, di solito piuttosto vivace nella stimolazione dei ricordi, era totalmente azzerato riguardo agli interni dell’edificio. Va detto che questi negli anni sono stati rivoltati come un calzino, tant’è che la scuola ha ciclicamente mutato indirizzi e specializzazioni, convogliando molte risorse sulla musica e le attività artistiche. I lavori in corso e più volte interrotti, i danni dei terremoti, solo in parte riparati, e la naturale incuria protrattasi negli anni hanno sconvolto la morfologia interna della costruzione. All’ultimo piano, interdetto durante il mio triennio scolastico, sono riuscito a vedere i resti di stanze chiaramente adibite a dormitorio dei convittori, ora pressoché deserte. Proprio quando mi accingevo a uscire, ho scorto la sala insegnanti, indicata da una targa sulla porta, che mi ha rivelato una meravigliosa stanza ripulita con il gigantesco affresco parietale superiore. Sono convinto di non esserci mai entrato, anche perché era un luogo riservato ai professori, e l’impressione che ne ho avuto è stata assolutamente stupefacente. Tornato al piano terra, un istante prima di uscire, mi sono voltato a guardare con un altro occhio l’ingresso del vestibolo, ancora segnato dalle tipiche porte a vetri di un tempo. Ho riconosciuto la minuscola guardiola della segreteria riservata ai bidelli e ho avuto un flash dei miei ricordi perduti da ragazzino. Una foto per fissare quel momento, sapendo che quella porta stavolta l’ho oltrepassata per l’ultima volta.

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