JONI MITCHELL: “Blue” (1971)
Blue, here is a shell for you./Inside you’ll hear a sigh,/a foggy lullaby./There is your song from me – Tristezza, questa è una conchiglia per te./Dentro potrai sentirci un sospiro,/una ninna nanna appena accennata./È la canzone per te da me.
La piccola cappella visitata qualche giorno fa è nota tra gli urbexer locali come la chiesa blu, per via del colore dominante degli interni della piccola navata. È stato facile individuare il brano che più si attagliasse al luogo visitato; il blue inglese, infatti, ha varie possibili traduzioni e viene accettata naturalmente quella più ovvia. Ci sono, però, altri significati sottintesi da questa parola, tutti diretti alla sfera delle emozioni più intime delle persone, ed ecco allora le versioni secondarie del termine, quali la nostalgia, la malinconia, la tristezza, o, forzando non poco, la depressione. Perché questa digressione? Perché il brano che ho individuato parla di una perdita irrimediabile, riferita alla fine di una lunga relazione amorosa tra l’autrice del brano e un altro grande della musica di quell’epoca, e la conchiglia richiamata nel testo è il perfetto speculare della piccola navata in abbandono: un guscio perfetto. Questa chiesa di campagna, intitolata a Sant’Anna, è perfettamente in grado di suscitare il senso di una perdita irrimediabile, accanto ai segni accesi dei suoi colori, violati in vario modo dall’ingiuria del tempo e dell’indifferenza generale. Edificata del 1750, dopo vari passaggi, arrivò ad essere la cappella privata di una nota famiglia di conti locali che nel 1930 la donarono al comune che la ospitava, col vincolo di mantenervi le tombe dei mecenati. La chiesa comprende lateralmente dei locali accessori, identificabili con una sagrestia ora vuota e non in grado di aggiungere valore all’edificio. Gli uffici di culto erano cessati già diverso tempo prima delle terremoto del 1997, che arrecò seri danni alla struttura. Un progetto realizzato per la sua sistemazione non fu mai avviato per mancanza di fondi. Il tempo trascorso invano e il terremoto del 2016 hanno quasi ultimato la distruzione. Si entra con relativa facilità, a patto di non avere taglie oversize per attraversare il pertugio sul portale. L’interno è la perfetta sintesi dello sfacelo: volta quasi interamente crollata, arredi totalmente mancanti (non so dire se per previdenza degli enti preposti o per lo sciagurato interesse di mani rapaci) e, a terra, un tappeto di macerie e travi collassate. Quello che resiste ancora è il blu che si ostina a chiazzare le pareti e a richiamare un’epoca di grande eleganza e originalità; il tutto in attesa che crollino le ultime travi che pencolano in alto sulla parte d’ingresso e sopra la volta absidale. Per finire, una raccomandazione o, se preferite, una preghiera: ascoltate Blue. Se non l’intero album, almeno il singolo brano. Un omaggio laico alle emozioni lasciate da Sant’Anna.