MANIC STREET PREACHERS: “If you tolerate this your children will be next” (1998)
The future teaches you to be alone,/the present to be afraid and cold – Il futuro t’insegna ad essere solo,/il presente ad essere impaurito e indifferente.
Sui 27 ettari di superficie di una delle Pontine troneggia l’unico carcere italiano costruito sulla tipologia del Panopticon, un edificio circolare formato, sul lato opposto all’ingresso, da tre ordini di logge, ognuna delle quali articolata in trentatre celle: gli assassini in basso, i pazzi in mezzo, e i politici in alto, per un totale di novantanove reclusi. Panopticon o panottico è un carcere ideale ideato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. Il concetto della progettazione è di permettere a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti di una istituzione carceraria, senza permettere a questi di capire se siano in quel momento controllati o no. Evidente la metafora del Panopticon come centro di un potere invisibile, ma non per questo meno invasivo, con il naturale rimando al Grande Fratello di letteraria memoria. Una volta tanto Canale 5 non c’entra nulla, anche se l’emittente farebbe cosa buoma e giusta a corrispondere agli eredi di Orwell i diritti del copyright. Edificato nel periodo borbonico (1794–95) da Ferdinando IV e somigliante, per la sua forma a ferro di cavallo, più a un anfiteatro che a una prigione, il carcere di Santo Stefano rimase in funzione fino al 1965. Fatto salvo il periodo dell’ultimo dopoguerra, il carcere fu uno di quelli che oggi avremmo chiamato di massima sicurezza; vi furono rinchiusi personaggi del risorgimento nazionale, rivoltosi di ogni genere, gli ergastolani e parecchi nomi noti alla politica e alle cronache giudiziarie nazionali, segnatamente quelli legati al periodo del fascismo. Particolarmente crude erano le condizioni di vita dei prigionieri, costretti a condividere celle rettangolari di 4,50 x 4,20 m., che furono, successivamente, ridotte alla metà (4,50 x 2,20m.) per raddoppiarne il numero. In ogni cella erano stipatì fino a dieci reclusi, costretti a vivere in condizioni inumane per la sporcizia, gli agenti atmosferici e, non ultime, le angherie cui erano quotidianamente sottoposti dai secondini, autentici aguzzini che godevano di ogni impunità. Illuminanti al riguardo sono le dichiarazioni rese da Sandro Pertini, uno dei confinati più illustri, che ricorda con parole commosse l’omicidio in cella di un detenuto ad opera delle guardie. Una delle sevizie più comuni in caso di proteste o insubordinazione era il cosiddetto “Sant’Antonio”, voce derivata dal gergo dei camorristi, che consisteva nell’irrompere all’improvviso nella cella, coprire la vittima con una coperta, e poi colpirla duramente a calci, pugni, bastonate o con le grosse chiavi in dotazione ai secondini. La coperta serviva per non far riconoscere gli aggressori, per soffocare le grida della vittima e impedirgli di reagire, e anche per non lasciare segni sul corpo del bersaglio del pestaggio. La coperta, del resto, era una precauzione spesso inutile durante il fascismo, quando le guardie, certe dell’impunità o perché in esecuzione di un preciso ordine, agivano a volto scoperto senza alcun timore contro i detenuti, inclusi quelli politici. Questi ultimi, non a caso, erano sottoposti a una sorveglianza speciale, sollecitata ai secondini da un cartello affisso alle porte delle loro celle, che ammoniva: “detenuto pericoloso da sorvegliare attentamente“.
Nota: si precisa che la foto n .1 del set (Panoticon dall’alto) è ripresa dal sito “Nazione Indiana”.