BUFFALO SPRINGFIELD: “I am a child” (1968)
What is the color, when black in burned?/What is the color?/I am a child,/I last a while./You can’t conceive/of the pleasure in my smile. – Qual è il colore, quando il nero viene bruciato?/Qual è il colore?/Sono un bambino,/durerò per poco./Non puoi immaginare/la felicità nel mio sorriso.
La seconda tappa dell’ultimo tour umbro ha come destinazione un piccolo camposanto in fase di dismissione dal marzo 2023, periodo da cui è iniziato il progressivo trasferimento delle salme nel nuovo impersonale cimitero, sorto un centinaio di metri più in basso appena fuori dell’abitato del minuscolo borgo. Il luogo visitato consiste in un piccolo terreno che contiene solo alcune sepolture, tanto che ormai i colombari sono del tutto svuotati. Restano solo alcuni loculi risalenti a più di cento anni fa insieme a pochissimi altri di recente impianto, risalenti agli anni immediatamente precedenti la dismissione. La cosa singolare del camposanto, ubicato al termine di un breve sentiero in salita che lascia intravedere le poche costruzioni del borgo, è che a terra sono presenti sepolture con la denominazione dei resti, indicati unicamente da una targa in ferro, del tutto arrugginita, che riporta l’indicazione bambine. Forse per la tranquilla posizione del cimitero e per l’ambiente raccolto, quasi familiare mi viene da dire, la sorpresa è stata superiore al pensiero della perdita, come se quel prato potesse ancora essere un luogo di giochi sereni da riprendere una volta terminate le visite giornaliere, che del resto immagino assai rare. La sensazione di pace che mi ha dato questo cimitero era l’unica che potesse compensare la terribile avanzata per raggiungerlo, e qui si apre tutt’altro capitolo. Come noto, specialmente nelle uscite fuori regione, mi accompagna il mio fido sodale, persona dotata di grande umanità ma assolutamente inaffidabile in ambienti selvaggi. Stavolta, però, la leggerezza è stata anche mia quando, avendo notato un promettente sentiero a valle del piccolo cimitero, ho suggerito di passare di lì per raggiungere la nostra meta. Avevo sottovalutato il fatto che il mio compare, di fronte a un percorso che si fa accidentato, perde totalmente il lume della ragione, inserisce la trazione integrale agli arti inferiori e superiori e ingaggia un duello rusticano con la natura nell’assurda convinzione che questa non possa resistergli. Insomma, ci siamo incamminati per una ripida salita tra gli arbusti, che poi ho visto tramutarsi in piccole querce da sughero, ligustri e abbondantissime rosacee, ovviamente nella loro particolare specie spinosa. In breve il cammino si è fatto difficoltoso e ha imposto subito il tradizionale tributo di sangue e frustate dai ligustri che muovevamo con cautela per guadagnarci il cammino. Alle mie ripetute riserve sull’opportunità di continuare, data anche la salita sempre più impervia, il mio compagno, ormai in piena modalità 4×4, rispondeva invariabilmente che la meta era vicina e che tornare indietro non conveniva. Una volta rincasato, ho poi appurato su google maps che dovremmo aver percorso un’ottantina abbondante di metri tutti in una selva intricatissima e con una pendenza del 40%: praticamente una ferrata di montagna, affrontata però senza l’attrezzatura adeguata. Proprio nel tratto finale, ma non sapevo che lo fosse, inciampato per l’ennesima volta e aggrappato agli arbusti che raccattavo, ho notato a pochi centimetri dai miei occhi una foglia lanceolata (reminiscenza dei miei studi di biologia al classico) che trasudava un succo rosso. Era il sangue del mio amico che proprio in quell’attimo mi ha urlato che eravamo arrivati. Sbuchiamo accanto ad una piccola centralina telefonica su un sentiero che era esattamente quello sottostante al percorso (semplicissimo) che avremmo dovuto fare. Ho esaminato con attenzione il mio amico che, sudatissimo, grondava sangue e faceva realmente schifo, ma ovviamente non credo che io fossi ridotto tanto meglio. La sete mi ingrossava la lingua in modalità Fantozzi, ma le nostre riserve d’acqua erano rimaste in auto. In breve abbiamo guadagnato il cimitero e sembrava una liberazione per la frescura che vi regnava. Ammetto di aver avuto la tentazione di infilarmi nello spazio vuoto di un colombario: sarei stato un morto perfetto. Ho rinunciato, perché avevo una missione da compiere, ovvero insultare il mio sodale, una volta recuperate le forze. Questi, però, mi ha preceduto, esclamando tutto contento: “È stata dura, ma così c’è più gusto”. Non ce la farò mai.