QUEEN: “Bohemian rapsody” (1975)
Oh, mama mia, mama mia (mama mia, let me go),/Beelzebub has a devil put aside for me, for me – O mamma mia, mamma mia (mamma mia, lasciami andare),/Belzebù ha un diavolo messo da parte per me, per me.
Parto alla volta del folignate col consueto sodale di esplorazione e siamo a destinazione in poco più di un’ora. Lasciamo l’auto in un ampio spiazzo a pochi metri dalla selva che custodisce i resti di quello che nel XVII secolo costituiva complesso immobiliare, costituito da una villa padronale, ormai ridotta a poco più di un rudere pericolante, comprensiva di una chiesa privata con annesso mausoleo destinato alla custodia dei resti mortali di famiglia; il tutto è completato da un fabbricato staccato dal corpo principale, anch’esso in stato più che precario, probabilmente in origine una dependance o un casino di caccia, inserito in un’area boschiva di circa un ettaro. Il complesso, a una prima vista, si presentava con gli ingressi tutti murati di recente, ma siamo ugualmente riusciti a trovare un accesso su un lato dell’edificio che mostrava uno squarcio su una parte tamponata fortunosamente con un muro di foratelle. Dal varco si vedeva nitidamente sullo sfondo la croce della chiesetta di famiglia. Entrati, ci siamo subito avviati in quella direzione che costituiva, e questo lo abbiamo capito dopo, il pezzo forte dell’esplorazione, ovvero il sacrario di famiglia. Questa sorta di cimitero privato è stato ripetutamente violato negli anni e attualmente si presenta totalmente aperto, letteralmente sventrato, probabilmente per una necessaria opera di bonifica, se si può usare questo termine, delle tombe rimaste intatte solo perché protette dalla loro posizione in alto. Purtroppo lo scempio è avvenuto su quella situate in basso, su cui i satanisti si sono accaniti con zelo chirurgico, tant’è che in un passato nemmeno troppo lontano era ancora presente a terra la cassa mortuaria del primogenito della famiglia, i cui resti sono stati violati e in parte sottratti per evidenti scopi rituali. Ho poi scoperto che il Ministero degli Interni colloca l’Umbria al quarto posto tra le regioni italiane per numero di sette sataniche presenti, includendo quelle con pratiche sanguinarie e quelle formalmente dedite al solo culto spirituale, per usare un termine edulcorato. A questo riguardo, forse il mio compagno di avventure ha avuto l’intuizione giusta quando ha ipotizzato che è proprio in un luogo o regione caratterizzati da forte spiritualità (basti pensare alla radicata matrice religiosa francescana e benedettina) che si scatenano con particolare veemenza forze contrapposte. Non so cosa dire, ma certo è che se la supposizione non è vera è comunque verosimile; sembra esserlo ancor più se si ha riguardo alla storia personale dei vecchi proprietari della villa, i coniugi Giovanni Pesci e Caterina Feltri-Maiolica, entrambi persone molto pie. Caterina in particolare (nata nel 1809) era stata educata al Monastero delle Orsoline e possedeva una cultura non comune per le donne dell’epoca e viene descritta come una donna dall’animo mite, umile nonostante le sue ricchezze e il suo prestigio sociale, affabile con tutti, generosa con i bisognosi, cui non fece mancare generosi sostegni nel corso della sua vita. Ebbe cinque figli, tra cui il primogenito Ettore, morto del 1882, probabilmente quello sulla cui salma si accanirono i satanisti, cui fece seguito la perdita del marito due anni dopo. Non è da escludersi che proprio il singolare zelo religioso dei due coniugi abbia potuto scatenare le fantasie malate di certi soggetti usi a rituali deviati. Arrivati a questo punto della ricostruzione storica, credo si possa capire la scelta del verso col quale ho intitolato la scheda, riferito a quello pronunciato nel Canto VII dell’Inferno da Pluto, che Dante pone come guardiano del Quarto Cerchio. La sua interpretazione rimane tuttora un mistero irrisolto e non sono mancate neppure le più strampalate parodie, tra cui quella Panesalam panesalam afette! riportata in un vecchissimo numero di Topolino, con cui almeno provo a sdrammatizzare per un momento la sensazione, un misto di amarezza e rabbia, che mi ha lasciato questa esplorazione.