U2: City of blinding lights (2004)
“Can you see the beauty inside of me?What happened to the beauty I had inside of me?” – Riesci a vedere la bellezza dentro di me?Cos’è successo alla bellezza che era dentro di me?
Riprendo le esplorazioni in terra umbra, stavolta in compagnia del mio fido compagno di avventure, alla volta di un piccolo borgo storico in collina con vista (teorica) sul lago Trasimeno. Il nostro obiettivo è una villa storica che risale al 1500, più volte ampliata fino all’anno cruciale del 1791, quando assunse la forma arrivata pressoché inalterata ai giorni nostri. Ero preparato ad esplorare un possibile ingresso dal parco retrostante, ma il mio sodale ha scoperto un’entrata, magari meno avventurosa ma assai più agevole, da un cancello appena accostato, che immetteva su un pittoresco vialone ornato di cipressi, al cui temine ci siamo trovati giusto sotto l’originalissima torre, caratteristica della villa. Gli interni si sono rilevati facilmente accessibili da uno dei diversi portoni d’ingresso, semispalancato, che pareva ci aspettasse. Il piano terra, semivuoto e non particolarmente attraente, lo ricorderò sempre per un particolare fetore, assolutamente nauseabondo, di cui non sono riuscito a individuare l’origine, dato che le stanze non presentavano residui organici o altri elementi che potessero giustificarne la presenza. Fatto sta che, esaurita la perlustrazione con tempi alla Usain Bolt, ci siamo diretti al piano superiore sia per naturale curiosità sia per sfuggire ai pestilenziali miasmi del pianterreno. Al primo piano abbiamo trovato le stanze più interessanti, solo parzialmente arredate e con i segni di un degrado particolarmente vistoso sulle lenzuola della camere da letto e sui rivestimenti delle poltrone e dei divani, tutti in rosso, costretti a fare i conti con muffe e polveri varie. Una stanza in particolare, forse quella più austera, sormontata da un soffitto ligneo a cassettoni, è quella che ha suscitato il mio interesse, sia per il camino ben conservato ma soprattutto per l’elegante porta senza battuta che gli sta accanto. Questa porta, è sormontata da un motto sullo stipite superiore che recita un misterioso I can do car tranen, a cui non sono riuscito a dare una traduzione di senso compiuto, pur avendo notato che alle prime parole inglesi segue quella finale che può essere tradotta solo in olandese (senza dieresi, come è riportata) o in tedesco. In entrambi i casi non cambia il significato, che è quello di piangere, il che francamente mi ha turbato non poco, a parte il fatto che rimarrebbe comunque senza senso apparente la parola che precede quella finale. Mi dichiaro aperto a suggerimenti e ipotesi di soluzione di quanti volessero farmi onore di un intervento risolutivo. Molto interessante è la stanza che credo fosse lo studio di lavoro di uno degli ultimi discendenti della casata storica, in cui ho potuto consultare diverse carte che testimoniano la gestione di affari commerciali di varia natura (agricola, industriale e legale) che interessavano anche la Francia, da parte dell’erede (non so dire se l’unico). Ho rintracciato un documento del 1942 cui fanno seguito numerosi altri fino a tutti gli anni settanta, periodo che può approssimativamente coincidere con la fine della gestione. La visita al terzo piano, strutturalmente quello più malmesso, non ha portato a nulla di che, salvo constatare che le molte stanze erano tutte arredate in maniera dozzinale col tipico aspetto di un dormitorio di modesto livello; il che fa supporre che la villa nei sui anni finali abbia avuto scopi diversi e forse anche padroni diversi. Ho rintracciato un quotidiano del 2012 che, per quanto può valere, potrebbe indicare la data di cessazione dell’utilizzo della struttura. Usciamo dalla villa e ci sistemiamo sui resti di una panchina del parco a consumare il consueto pasto dell’urbexer (mezza fila di pane casareccio e prosciutto di Colfiorito) annaffiato da abbondanti bevute d’acqua. Subito mi trovo costretto ad ingaggiare una snervante lotta con una mosca che mi tormenta per tutto il pasto, puntando ostinatamente alla mia incartata da muratore, mentre il mio sodale si gode il suo panino perfettamente indisturbato. In quei momenti capisco perfettamente il concetto espresso col natura mater et matrigna e i suoi ineffabili corollari di innatismo, ingiustizia e indifferenza. Addentato a fatica l’ultimo boccone di prosciutto, iniziamo l’esplorazione del parco che, per quanto incolto, nei tratti più scoperti m’incanta nella sequenza dei terrazzamenti che assecondano la pendenza della collina, nelle ridotte dimensioni del mini dancing o nella sistemazione del campo da tennis in cemento e, ancor più, nella scoperta dell’imponente costruzione di una piscina profonda e di generose dimensioni, ormai ridotta a un pantano, dove gracidano e saltellano decine e decine di ranocchi, che sguazzano indisturbati nel limo che ancora resiste sotto l’elegante trampolino. Ce ne torniamo verso l’auto, mentre parliamo dell’ultimo asta, anch’essa andata deserta, indetta per la vendita della villa. Si è arrivati a un prezzo di apertura di 815.000 € e nessuno si è fatto ancora vivo; la cosa non mi sorprende, date le condizioni in cui versa l’immobile e le grosse spese preventivabili per il suo eventuale ripristino. Il parco, però, concepito come giardino italiano, è un gioiello che meriterebbe di essere risistemato.